IL TWEET DA 19 MILIARDI DI DOLLARI 💥 (ovvero: come bruciare un impero finanziario in meno di un’ora)
- cloneberry
- 2 giorni fa
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Durante il fine settimana è successa una di quelle cose che, se non riguardassero i nostri soldi, sembrerebbero una puntata dei Simpson: Donald Trump — sì, quel Trump, ora Presidente degli Stati Uniti — ha scritto sul suo social “Truth” e poi ripostato su Twitter una delle sue perle:
“Voglio imporre dazi del 100% sulla Cina. E l’incontro con il Premier cinese? Nah, annullato.”
Venerdì 10 Ottobre. Orario europeo: 16:00 CET.
Effetto immediato: flash crash del mercato crypto e inizio di panico sui mercati finanziari classici. Solo che lì, per puro caso, le borse stavano chiudendo… altrimenti oggi forse staremmo raccontando un’altra storia.
Risultato? In 45 minuti netti, il messaggio ha bruciato circa 19 miliardi di dollari di investimenti nel mercato delle criptovalute. Un post. Una manciata di righe. Un dito troppo vicino al tasto “invio”.
Ora, un paio di riflessioni:
Questo è stato uno degli eventi finanziari più assurdi dell’era moderna, ma nessuno ne parla.
Quanto valgono, oggi, le parole di un Presidente USA? Letteralmente miliardi.
E soprattutto: quanto di tutto questo è “casuale”?
Perché, guarda caso, poco prima che Trump twittasse il suo messaggio, una balena — ossia un investitore gigantesco — aveva appena aperto uno short su Bitcoin da centinaia di milioni di dollari. Parliamo di questo tizio (o gruppo, o entità, o alieno, chi lo sa) che aveva shortato il mercato 30 minuti prima dell’annuncio e incassato 90 milioni di profitto sulla piattaforma Hyperliquid.
Coincidenze?
Ma che cavolo è uno “short”?
Facciamo un esempio terra-terra.
Metti che un pacchetto di pasta costi 1 euro.
Tu pensi che domani costerà meno.
Allora lo prendi in prestito dal tuo amico Pippo e lo vendi subito a 1 euro.
Il giorno dopo, come avevi previsto, il prezzo scende a 0,60 €.
Tu lo ricompri, lo restituisci a Pippo e ti tieni la differenza di 0,40 €.
Hai appena fatto uno short.
Hai guadagnato perché il prezzo è sceso.
Se invece la pasta sale a 1,20 €, devi comunque ricomprarla per restituirla a Pippo, ma ci perdi 0,20 €.
In borsa, ovviamente, non si parla di spaghetti: si parla di miliardi, e i “Pippo” sono banche, fondi o piattaforme che ti “prestano” l’asset.
E ora la parte più surreale.
Dopo 36 ore di caos, Trump scrive un altro post:
“Don’t worry about China, it will all be fine! Highly respected President Xi just had a bad moment…”
Tradotto: “Tranquilli, ho solo buttato giù 19 miliardi per sbaglio, tutto ok!”
Come quando rovesci un bicchiere d’acqua sul computer e dici che tanto era solo mezzo pieno.
Insomma, la domanda resta sospesa come una forchettata di spaghetti in slow motion: siamo davvero di fronte al libero mercato, o a un teatro dove i copioni li scrivono in anticipo e noi paghiamo il biglietto?
Ora, mettiamo che tutto questo non sia solo un colpo di teatro, ma un test.
Il piano di Donald Trump potrebbe essere molto più subdolo — e, per certi versi, geniale: risanare il debito pubblico americano con Bitcoin. Sì, hai capito bene.
Per farlo, deve solo una cosa: pomparlo a nastro. Promuovere un sogno.
Tra due anni, quando la retorica del “nuovo oro digitale americano” sarà martellata ovunque, Bitcoin (BTC) sarà schizzato magari a 300–400 mila dollari.
Ci saranno entrati tutti: fondi, banche, piccoli investitori, casalinghe di Shenzen e studenti di Milano. E proprio allora, quando il mondo intero sarà ubriaco di FOMO (Fear Of Missing Out), gli USA scaricheranno le loro riserve di Bitcoin, vendendole secche e convertendole in dollari.
Oppure shortando dietro a un post provocatorio.
Risultato: gli Stati Uniti tornano ricchi come porci, Trump passa alla storia come “l’uomo che ha salvato il debito americano”…e i soldi? Li avrà presi — indirettamente — dalla frenesia degli investitori di tutto il pianeta, Cina compresa. E Trump viene rieletto.
E magari questo flash crash era solo un esperimento pilota, una prova di laboratorio:
un tweet, uno short, e via — per misurare quanto in fretta i retail (noi) abboccano all’amo.
Coincidenze? Io non credo.
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