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La ricerca parla. Ma chi ascolta?

  • cloneberry
  • 4 giorni fa
  • Tempo di lettura: 1 min
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Oggi a Parma si è parlato di CRISPR, innovazione genetica e agricoltura del futuro.

Un evento importante, con ricercatori di primo piano, organizzato per spiegare cosa sono le TEA (o NGTs, New Genomic Techniques) e perché rappresentano una delle sfide più interessanti e fraintese del nostro tempo.


Solo che, guardandomi intorno, mi è venuto un dubbio: non è che ci stiamo parlando tra di noi?


In platea c’erano ricercatori, tecnici, agronomi, studenti. Tutti motivati, certo, ma tutti già dentro il mondo della ricerca. E allora la domanda è: come comunichiamo tutto questo al pubblico che resta fuori dalla stanza?


Perché la “signora di Voghera”, dopo una settimana di lavoro, non si alza il sabato mattina per venire a una conferenza su CRISPR.


Non per disinteresse, ma perché oggi l’informazione arriva a casa: in TV, su YouTube, tra un reel e un podcast.


Non andiamo più noi verso la conoscenza, è la conoscenza che deve venire da noi.


Il punto non è lo scopo (che è nobilissimo), ma la modalità. Dobbiamo unire i linguaggi: i canali classici come TV e radio con i nuovi spazi dove si costruisce opinione: Instagram, TikTok, YouTube.


Perché se la scienza resta tra gli scienziati, non cambia il mondo.


Il vero obiettivo dovrebbe essere uscire dalla bolla, portare queste conversazioni fuori dai convegni e dentro la società: nelle scuole, nelle aziende agricole, nelle case, tra chi ogni giorno decide cosa mettere nel piatto.


Solo così la ricerca potrà farsi ascoltare. Non per semplificare i contenuti, ma per portare il dialogo dove il pubblico già si trova.

 
 
 

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