Polvere di Stelle allo Specchio: Il Caos Cosmico Che Diventa Coscienza
- cloneberry
- 4 ore fa
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Da quando l’essere umano ha imparato a non bruciarsi mettendo la mano nel fuoco, si è fatto sempre la stessa domanda: “Ma quindi che ci stiamo a fare qui?”
Una domanda semplice semplice, tipo quelle che ti fai alle tre di notte dopo venti minuti sul water e 4 pastiglie di Imodium tra sensi di colpa alimentari.
Ogni civiltà ha provato a rispondere.
Spoiler: nessuna ci è riuscita davvero, ma tutte hanno venduto la loro risposta come quella giusta.
La religione, per esempio, ha dato alcune delle storie migliori dell’umanità: epiche, coraggiose, piene di miracoli, punizioni divine e gente che cammina sulle acque senza bagnarsi i calzini.
Ha detto: “Tranquilli, non siete soli, c’è un piano preciso per voi!”
Che è bellissimo.
Finché non diventa: “E questo piano è esattamente quello che diciamo noi, senza se e senza ma, altrimenti fulmini e anatemi come se piovesse.”
E lì il messaggio spirituale smette di essere un ponte e diventa una muraglia cinese fatta di dogmi.
La scienza, invece, è arrivata e ha ribaltato il tavolo, come sempre.
– “Le stelle non sono buche nel cielo, sono palle di plasma!”
– “La vita non è magia, è chimica!”
– “La Terra non è al centro di niente, arrangiatevi!”
Insomma, la scienza ci ha aiutato a capire un sacco di cose, ma anche lei ha i suoi limiti. Le puoi chiedere come funziona lo spin dell’elettrone o perché il pomodoro è un frutto, e lei ti risponde pure entusiasta; ma se le chiedi “qual è il senso della vita?”, ti guarda come se avessi appena chiesto a un frigorifero di scriverti una poesia.
E nella storia scienza e religione spesso si sono prese a sportellate.
Galileo voleva solo dire “Guardate che la Terra si muove”.
Risposta: “Ma falla finita, va’.”
Darwin ha osato dire che forse non siamo la versione deluxe di Adamo ed Eva, e ancora oggi in certi posti lo guardano come se avesse insultato la nonna di tutti.
Eppure, nonostante le scenate da telenovela, religione e scienza a volte si sono pure abbracciate.Newton, Mendel… gente che pregava Dio e allo stesso tempo faceva scienza come se non ci fosse un domani.
Oggi bioetica e neuroscienze tentano persino di parlarsi senza urlare: un miracolo degno di nota.
Ed è in questo casino, in mezzo alle due squadre che litigano da millenni, che nasce la spiritualità.
Non quella “New Age con i cristalli che curano tutto tranne la stupidità”, ma quella vera: la ricerca personale del senso, quella che ti fai da solo, senza dogmi ma anche senza la presunzione scientista di ridurre l’essere umano a una calcolatrice proteica.
Dentro questo quadro entra un’idea che può sembrare un trip lisergico, ma in realtà è più logica di quanto sembri: la vita è l’espressione cosciente dell’universo inorganico ed entropico.
Tradotto: l’universo è un’enorme macchinetta che va verso il caos, perde energia, si espande e in generale è un casino organizzato dalla termodinamica.Eppure, dal brodo primordiale e dall’entropia più spinta, sono spuntate cellule, organismi, cervelli… e alla fine noi, che siamo il modo in cui l’universo dice:
“Aspetta un attimo, ma che cavolo sono io?”
In pratica siamo l’autoriflessione della materia: polvere di stelle che si guarda allo specchio e si fa domande imbarazzanti.
Questa visione non nega Dio, non nega la scienza: semplicemente dice loro “state calmi, non siete il centro di tutto”. Perché se la vita è il tentativo dell’universo di capirsi, allora ogni nostra domanda (religiosa, scientifica o filosofica) è un pezzo di quel lavoro cosmico.
Essere agnostici, a quel punto, non è stare in mezzo perché non sai deciderti.È riconoscere che non puoi sapere tutto, e che va bene così. È capire che siamo viaggiatori sospesi tra formule matematiche e misteri enormi, tra ciò che possiamo misurare e ciò che possiamo solo intuire.
E la spiritualità, forse, è proprio questo: restare aperti.
Fare pace col fatto che non capiamo tutto, ma che possiamo continuare a cercare.
Essere, allo stesso tempo, polvere di stelle ed eco pensieroso del loro silenzio.
Con la speranza di capirci qualcosa… prima che l’entropia si ricordi di venirci a bussare alla porta.






















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